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Sono passati 29 anni dalla prima volta in cui al mondo fu perseguito il reato di stalking: accadde in California nel 1990 dopo l’assassinio di una giovane attrice da parte di un suo fan persecutore. Ma questo tipo di stalking è soltanto una delle forme del fenomeno, che denunciano tutte un quadro psicopatologico grave dal momento che tra la vittima e lo stalker non intercorre alcun tipo di rapporto attuale, se non quello unilaterale e fantasticato dal persecutore. In Italia il reato è stato introdotto con la legge 38/2009. Tante le vittime illustri, per restare al nostro Paese: da Sabrina Ferilli a Paola Saluzzi, da Elisabetta Canalis a Irene Pivetti, da Lara Comiad Alba Parietti, da Monica Leofreddi a Barbara De Rossi, fino agli uomini: Gabriel Garko, Flavio Insinna, Francesco Facchinetti. Tantissime le vittime meno note. E non sempre gli strumenti previsti sono sufficienti ed efficaci per prevenirlo e arginarlo. 📷Se ne è parlato lo scorso 13 giugno ad Asti nel corso di un convegno promosso dal “Centro studi e trattamento dell’agire violento” di Torino, uno dei pochi e uno dei più recenti (è nato due anni fa) che in Italia si occupano dei cosiddetti “maltrattanti”. E che ha suggellato la collaborazione tra il gruppo di lavoro del Centro (tutti psicologi: il presidente Paolo Rossano, Marisa Brigantini, Christiana Marchesin, Cristina Moretta ed Eleonora Seta) e i penalisti del Foro di Torino Lorenzo Porro e Cesare Mariconda. Dal “respinto” al “predatore”: i 5 profili degli stalker «Sono cinque le tipologie di stalker individuate dagli studi che arrivano dal mondo anglosassone sulla base dei bisogni che li spingono a commettere reati», raccontano Seta e Moretta, socie fondatrici del Centro studi. Si parte dal “risentito”, «colui che è spinto dal desiderio di vendicarsi per un danno o un torto che ritiene di aver subito». Una tipologia che non ha necessariamente a che fare con relazioni affettive ma può riguardare anche rapporti di lavoro o di vicinato. C’è poi il “bisognoso d’affetto”, ovvero «il molestatore motivato dalla ricerca di attenzioni e di una relazione che possa riguardare sia l’amicizia che l’amore ed il cui rifiuto dall’altra parte viene negato e reinterpretato». Il “corteggiatore incompetente” è invece colui che «tiene un comportamento opprimente ed esplicito e quando non riesce a raggiungere i risultati sperati diventa anche aggressivo». Chi sale frequentemente alla ribalta delle cronache è «il “respinto”, quello che diventa persecutore a seguito di un rifiuto: generalmente è un ex che mira a ristabilire la relazione o a vendicarsi per l’abbandono». Infine c’è il “predatore”: si tratta del molestatore che ambisce ad avere rapporti sessuali con una vittima pedinandola, inseguendola e spaventandola. «La paura eccita questo tipo di stalker che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto», commentano Seta e Moretta. I campanelli d’allarme 📷Non sempre uno stalker è immediatamente riconoscibile, come prova il gran numero di donne che si ritrova “imprigionata” dentro situazioni che non aveva previsto e dalle quali non riesce a liberarsi. Ma «esistono una serie di condotte che il soggetto stalkerizzante può mettere in atto e che possono essere interpretati come segnali “spia”, utili alle potenziali vittime per identificare il problema sul nascere ed evitare che degeneri in qualcosa di più grave», avvertono le psicologhe. «Lo stalker, soprattutto all’inizio, può agire nell’ombra, all’oscuro della vittima, che potrebbe accorgersi troppo tardi di essere diventata oggetto di pensieri persecutori e ossessivi». Massima attenzione, dunque ai segnali premonitori più importanti. «Si va dal bisogno costante e urgente di contattare la vittima, spesso con telefonate, sms o addirittura visite, fino al punto di farla sentire a disagio, a un’eccessiva tendenza al controllo della vita della vittima», che può arrivare anche a pedinamenti, appostamenti o addirittura a indagini su questioni private e personali. «Qualora la vittima riesca a porre dei “paletti” come tentativo di arginare il comportamento persecutorio – spiegano Seta e Moretta – lo stalker potrebbe ignorare queste richieste e tentare strade più subdole per essere vicino all’oggetto della propria ossessione». Altri campanelli d’allarme sono atti vandalici alle proprietà della vittima, oppure foto e lettere inviate ossessivamente per posta o via whatsapp. «Potrebbe anche iniziare a mettere in atto condotte diffamatorie nei confronti della vittima, per esempio sui social media o attraverso false segnalazioni alla polizia», dicono le psicologhe. Il soccorso della legge 38/2009 📷È cruciale che quando si riconoscono uno o più di questi comportamenti ci si rivolga immediatamente alle autorità competenti. «Prima che sia troppo tardi e che il comportamento stalkerizzante si trasformi in un agito aggressivo», sottolineano Seta e Moretta. Qui entra in gioco il paracadute offerto dalla legge 38/2009. «È stata di grande importanza perché ha risposto a un problema», evidenzia l’avvocato Porro. «Mancava infatti fino ad allora una norma capace di sanzionare quella tipologia di condotte di per sé a volte neppure illecite, ma sicuramente riprovevoli nel loro essere “persecutorie” nei confronti della persona offesa. Ne è nata l’elaborazione di una fattispecie di reato di sbalorditiva innovatività perché con essa l’attenzione si sposta dalla semplice condotta dell’agente al vero fulcro degli atti persecutori: il danno della persona offesa. E si badi: normare l’ansia non è facile né scontato, ma impossibile è sanzionare lo stalker senza normare l’ansia, la paura, il terrore. Questa è la genesi del reato di atti persecutori – che altro non è che la traduzione italiana del concetto di “stalking” – previsto in Italia dall’art. 612 bis del Codice penale». I dati del Viminale: 14.871 reati commessi nel 2018 La percezione della vittima di vivere in uno stato perdurante di ansia e preoccupazione per sé e a volte anche per i propri cari è esattamente ciò che differenzia dal punto di vista giuridico lo stalking dalle minacce e dalle molestie. Che le donne siano più esposte lo confermano i numeri: l’incidenza percentuale delle vittime di sesso femminile oscilla tra il 77% registrato tra il 2011 e il 2014 e il 74% degli ultimi anni. I reati ex articolo 612 del Codice penale (atti persecutori), secondo gli ultimi dati del Viminale, sono stati 13.117 nel 2016, 14.521 nel 2017, 14.871 nel 2018 e 4.927 tra gennaio e maggio di quest’anno (in calo rispetto ai 6.465 dei primi cinque mesi dell’anno scorso). I condannati per stalking sono uomini in oltre il 90% dei casi dal 2009 a oggi. «Ipotizziamo una diversa incidenza sugli uomini dei comportamenti invasivi da parte di una donna, probabilmente percepita come meno pericolosa fisicamente», osserva l’avvocato Porro. «C’è anche da considerare che la maggior parte degli stalker rientrano nella categoria dei respinti, che cercano quindi di recuperare un rapporto prima esistente: questo aspetto ha di certo a che fare con il cambiamento dei ruoli culturali maschile-femminile degli ultimi 60 anni e dei diritti degli ultimi 30 anni, che raccontano la difficoltà di un certo tipo di essere uomini a elaborare il lutto di un potere perso, oltre che di una relazione finita». Gli strumenti per tutelare le vittime 📷Intervenire quanto prima sullo stalker è indispensabile: proprio perché il suo reato è costituito da condotte seriali, un’azione immediata è lo strumento migliore per limitare un problema che potrebbe divenire cronico. «Tra gli strumenti introdotti dalla legge del 2009 spicca per questo l’ammonimento amministrativo – afferma Porro – con cui, dopo un’idonea attività istruttoria, le forze di polizia, in presenza di una mera segnalazione della vittima, segnalano allo stalker l’illiceità dei suoi comportamenti e lo avvisano che, laddove persistano, verrà perseguito d’ufficio». Si tratta del provvedimento meno invasivo, perché non innesca meccanismi irreversibili. «Soltanto in un secondo tempo, quello in cui lo stalker è già cronicamente tale, il consiglio non può che essere quello di agire mediante una vera e propria denuncia-querela». La legge ha ampliato da tre a sei mesi il periodo entro cui si può presentare querela nei casi in cui il reato non è procedibile d’ufficio, prevedendo l’irrevocabilità della querela per i fatti più gravi e la rimettibilità della querela – ove possibile – solo in udienza. Ha inoltre previsto pene più severe per lo stalker innalzando la pena massima da quattro a cinque anni di reclusione e descrivendo un’ampia gamma di circostanze aggravanti idonee ad aumentare la pena e addirittura prevedendo l’arresto obbligatorio del soggetto colto in flagranza di reato. Che cosa manca? Secondo gli esperti piemontesi, «uno strumento che favorisca l’inserimento tempestivo in percorsi di intervento psicoeducativi paralleli a quelli giudiziari».L’elemento per cui il Centro torinese, come gli altri sul territorio nazionale, è nato e sta lavorando. Il “trattamento” possibile «Purtroppo la maggior parte delle denunce per stalking viene ritrattata, quasi come se la paura provata dalla vittima subisse in maniera repentina dei meccanismi di razionalizzazione o banalizzazione dell’evento, che la inducono a mettere in atto una sorta di condotta riparatoria», dice Moretta. Anche per questo gli stalker, così come i violenti, raramente intraprendono percorsi psicoeducativi, che in genere consistono in trattamenti di psicoterapia individualizzati, alternati a momenti di confronto di gruppo. L’obiettivo, spiega la psicologa, «è aiutare la persona a individuare il proprio “persecutore interno” e consentirgli di trovare altre modalità di espressione, non lesive verso l’altro e più orientate all’armonizzazione delle parti disfunzionanti di sé». Come accade per altri Centri, anche a Torino al momento le richieste arrivano da imputati e detenuti, tramite i loro avvocati, ma altrettanto spesso sono le donne, le loro nuove o vecchie compagne, che chiedono un nostro intervento, nella speranza di ritrovare una persona diversa. 📷«Quest’anno – aggiungono le psicologhe – riprenderà inoltre la seconda edizione del progetto Sorat, un percorso di trattamento avanzato rivolto ai sex offenders promosso dall’Università degli Studi di Torino all’interno della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, e noi saremo partner». La necessità di interventi paralleli a quelli, molto forti, richiesti per la protezione delle vittime, è ancora sottostimata: eppure la loro assenza spesso vanifica gli altri. «Soprattutto quando parliamo di nuclei familiari in cui si sono minori da proteggere e a cui al tempo stesso poter garantire la continuità del rapporto genitoriale», sottolineano Seta e Moretta. «La nostra utopia è che si possano creare dei veri interventi di rete in fasi precoci con l’aiuto delle forze dell’ordine e dei sanitari che solitamente sono i primi ad avere contatti con tali situazioni. Vere task force si stanno strutturando in altri Paesi europei». Seguendo due fari, entrambi accesi dalla Convenzione di Istanbul: l’approccio “integrato” e la priorità assoluta garantita alla sicurezza e ai diritti umani delle vittime.
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